Webinar – Discriminazione integrazione (23/04/2020)

Eleonora Stenico , avvocato, docente universitaria, già consigliera di parità PAT, link al curriculum


L’intervista

di Alice Sicheri

Durante l’incontro Lei ha parlato di un’uguaglianza sostanziale tra uomo e donna, uguaglianza che ritroviamo anche nella Costituzione. Come si può accettare dunque, che le donne nel mondo del lavoro siano pagate di meno degli uomini? Non è questo anticostituzionale, e dunque, perseguibile dalla legge? E se sì, perché ciò non si verifica?

Il cosidetto “gender pay gap”, ossia la disuguaglianza di retribuzione fra uomo e donna nel mondo del lavoro, è purtroppo una situazione che si verifica a danno della componente femminile per una molteplicità di concause: pur partendo da una retribuzione base uguale a parità di curriculum, e perciò legittima – c.d. “retribuzione minima tabellare”, imposta dai contratti collettivi -, ai lavoratori vengono poi aggiunti una serie di incrementi retributivi, non riconosciuti invece alle lavoratrici: premi presenza, premi di rendimento, indennità di progetto, indennità di coordinamento di gruppi di lavoro, e così via. Queste voci retributive ulteriori, che dunque spiegano la differenza finale, sono sostanzialmente rimesse alla discrezionalità del datore di lavoro, il quale può “premiare” i maschi perché magari ha un (ingiusto e non dichiarato) pregiudizio nei confronti delle lavoratrici, oppure perché gli uomini sono più disponibili a fermarsi per il lavoro straordinario (non avendo carichi di cura), o non si devono assentare per i figli, oppure non fruiscono del part-time, o per altre ragioni ancora. Tutti questi motivi sono frutto di stereotipi culturali che danneggiano ingiustamente il personale femminile, che si impegna al lavoro al pari di quello maschile e dispone delle stesse competenze ed esperienze professionali, ma è vittima di un disequilibrio interno alla società nella distribuzione delle responsabilità familiari e dei carichi di cura, che, ricadendo appunto tuttora principalmente sulle donne, impone loro di fare le “equilibriste” fra lavoro e famiglia.

Ricoprendo il ruolo di Consigliera di parità, come ha agito in merito all’attivazione e alla sensibilizzazione degli uomini riguardo a questo argomento?

Nel mio ruolo di Consigliera di parità ho effettuato molte iniziative ed interventi per combattere questo problema, e quello, più generale, degli stereotipi femminili e della condizione di sfavore delle donne nel lavoro: il primo versante che ho affrontato è stato quello culturale, perché è necessario che ragazzi e ragazze, uomini e donne, giungano davvero alla consapevolezza di essere su un piano di parità, di poter e dover godere di pari opportunità, di non dover essere oggetto di discriminazioni per ragioni legate all’identità di genere o al sesso.
Il secondo versante per il quale mi sono impegnata molto è stato quello “formale”, sostenendo interventi normativi (leggi e regolamenti provinciali) che sancissero con forza questi principi in ogni ambito del vivere quotidiano: norme sugli asili nido, sul benessere familiare, contro le discriminazioni di genere, contro il mobbing, lo stalking e la violenza sul luogo di lavoro, disposizioni per il lavoro femminile, per la conciliazione degli impegni familiari con quelli professionali, per l’accesso al lavoro, ecc.
Il terzo versante è stato quello di attuare iniziative a sostegno del lavoro femminile, favorendo l’incontro fra la domanda di lavoro delle donne ed il reperimento reale di un’occupazione, anche attraverso progetti di inserimento occupazionale, di miglioramento delle competenze, di riconversione professionale, ecc.
Infine, il quarto versante, non meno importante, è stato quello di risolvere vere e proprie vertenze generatesi sul luogo di lavoro fra lavoratrici e datori di lavoro, destinate a sfociare in cause avanti l’Autorità giudiziaria, cercando invece di trovare una mediazione mettendo a confronto le parti con atteggiamento responsabile e costruttivo: sono così riuscita, il più delle volte, a trovare un accordo fra le parti ed a conservare il posto di lavoro a donne che invece, magari a causa della nascita di un figlio, l’avrebbero perso.