Webinar – Diritto alla vita, diritto alla morte (30/04/2020)

Carlo Casonato è professore ordinario di diritto costituzionale comparato presso la facoltà di Gurisprudenza dell’Università di Trento. È responsabile scientifico del progetto BioDiritto e direttore del BioLaw Journal – Rivista di Biodiritto.

Ha insegnato diritto costituzionale italiano e comparato ed ora insegna corsi di Biodiritto e Bioetica in alcuni Dipartimenti dell’Università di Trento e dell’Università di Verona.


Fine vita e battaglie giudiziarie.

di Martino Mancin

Grazie a casi come quelli di dj Fabo e Davide Trentini, il tema del fine vita ha attirato sempre di più l’attenzione del grande pubblico, italiano e non.

A questo proposito, nel nostro Paese i problemi attinenti alle scelte individuali sul fine vita sono da molto tempo oggetto non solo di un intenso dibattito pubblico, ma anche di vere e proprie battaglie giudiziarie, nonché di difficili scelte della Corte costituzionale e del Parlamento.

Ma intorno a che cosa verte la discussione sul fine vita?

Facciamo un passo indietro e proviamo a individuare le coordinate di fondo del dibattito.

Nel nostro ordinamento la gerarchia delle fonti prevede che la legge del Parlamento sia rispettosa della Costituzione, pena la dichiarazione di incostituzionalità da parte della Corte costituzionale.

Alcuni dei  principi costituzionali citati, quando si parla di fine vita, sono il principio della dignità delle persone (art.2), il rispetto dell’uguaglianza nel trattamento (art. 3), la libertà morale e fisica (art.13) e il diritto alla salute (art. 32), secondo cui «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge, prosegue lo stesso articolo, non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana» (art. 32, secondo comma).

Ora, per molto tempo l’Italia ha vietato in maniera assoluta l’eutanasia, sia attiva che passiva.

Come spesso accade in settori delicati come questo, almeno nel nostro Paese, sono stati i giudici italiani a intervenire per ovviare all’inattività del Parlamento.

Così la Corte di Cassazione nel 2007 ha affermato, all’interno della nota vicenda di Eluana Englaro che il diritto alla salute, «come tutti i diritti di libertà, implica la tutela del suo risvolto negativo: il diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, di vivere le fasi finali della propria esistenza secondo canoni di dignità umana propri dell’interessato, finanche di lasciarsi morire».

Facciamo ora una precisazione.

Parliamo di assistenza medica al suicidio quando è il professionista ad aiutare il malato a togliersi la vita: in questo caso, però,  egli non svolge concretamente l’atto che provoca la morte.

Per esserci, infatti, assistenza al suicidio deve essere il malato stesso che compie l’ultimo gesto come è successo in Svizzera per DJ Fabo, per esempio.

Per eutanasia, o omicidio del consenziente, si intende, invece, il comportamento del terzo che svolge tutta la procedura, causando direttamente la morte del malato.

Alcuni Stati, come la Svizzera o l’Oregon, riconoscono sola la prima ipotesi, cioè l’ assistenza al suicidio; altri, invece, come l’Olanda o il Belgio, anche l’eutanasia. Questa scelta è dovuta al fatto che in alcuni casi il malato non sarebbe fisicamente in grado di suicidarsi, poiché ad esempio completamente paralizzato: in questo caso egli avrebbe il diritto di chiedere l’aiuto di un terzo.

Come ha ricordato il professor Casonato durante l’incontro, una volta confermato il riconoscimento anche in Italia del diritto di rifiutare ogni trattamento (anche di sostegno vitale),  occorre  spiegare perché dj Fabo non abbia esercitato questo diritto in Italia, preferendo la Svizzera e ottenendo il suicidio assistito. 

Il motivo sta nelle sue specifiche condizioni cliniche:  reso cieco e tetraplegico da un incidente nel 2014, Fabiano Antoniani era in grado di respirare autonomamente, seppur a fatica.

Nei video che riprendono i suoi appelli, è possibile sentire dj Fabo che parlar e vederlo respirare senza l’ausilio del ventilatore. Questo macchinario sarebbe potuto essere legittimamente disattivato, costringendo però il dj a settimane o forse mesi di dispnea, che dopo un periodo variamente lungo di stato agonico lo avrebbe alla fine condotto ad una morte per insufficienza respiratoria. Avrebbe altrimenti potuto chiedere, sempre legittimamente, l’interruzione di ogni forma di nutrizione, allo scopo di morire per disidratazione e denutrizione.

Queste dunque le alternative terribili tra cui dj Fabo era chiamato a scegliere.

Per questo motivo, al fine di ottenere una morte più dignitosa, dj Fabo ha deciso di ricorrere ricorrere al suicidio in Svizzera. Ogni forma di agevolazione o di assistenza al suicidio è, infatti, considerata in Italia reato, punibile con una pena dai 5 ai 12 anni di reclusione (art. 580 del codice penale).

Dopo un lungo processo, nel dicembre del 2019, il politico e attivista Marco Cappato, accusato di avere aiutato a suicidarsi dj Fabo è stato assolto dalla Corte d’Assise di Milano perché il «fatto non sussiste». Nella pronuncia, la Corte ha ripreso la sentenza della Corte Costituzionale dello scorso settembre, in cui si stabiliva – in relazione al caso Cappato – che a determinate condizioni non era punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale (norma che si occupa di assistenza e istigazione al suicidio) «chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente».

Nel concreto, in Italia sarà possibile aiutare una persona a morire senza rischiare di finire in carcere, se quella persona è colpita da una malattia irreversibile, se è tenuta in vita da trattamenti medici di sostegno, se ha una patologia irreversibile che le provoca sofferenze fisiche o anche solamente psicologiche per lei intollerabili e se è pienamente capace di decidere liberamente e consapevolmente.

Ultima precisazione, da tenere bene a mente, è che quella della Corte Costituzionale resta in ogni caso una singola sentenza su un singolo caso, seppur molto importante, e per questo motivo la Corte ha chiesto al Parlamento di intervenire emanando una legge. Fino ad allora,  infatti, dovranno essere i giudici a giudicare  e distinguere ogni singolo caso.

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Intervista a Carlo Casonato.

  1. In seguito a vicende come quella di Dj Fabo, di Davide Trentini e di altre persone gravemente malate, oggi i grandi temi della bioetica sono sempre più discussi. Proviamo a fare un passo indietro. Se dovessimo dare una definizione breve di che cosa sia la bioetica, che cosa potremmo dire?

Il termine ‘bioetica’ viene usata la prima volta nel 1928 da Fritz Jahr, un pastore protestante tedesco, come discorso relativo al rispetto che l’uomo deve avere nei confronti degli altri uomini, degli animali e perfino delle piante. Non c’è da stupirsi che l’ideologia del tempo lo abbia rapidamente rimosso. Bioetica è termine che viene poi diffuso da Van Rensselaer Potter, negli Stati Uniti dei primi anni ’70 del secolo scorso. Potter ha in mente una bioetica globale, che impone un discorso relativo al superamento dei 6 principali problemi del tempo (le 6 Ps): sovrappopolazione (population), pace, inquinamento (pollution), povertà, una politica miope e un progresso che non si confronta con le scienze umane e con la filosofia. Una bioetica, potremmo dire, ambientalista e a 360 gradi.
La bioetica, poi, si è concentrata sulla biomedicina, diventando un ambito di riflessione sui problemi emergenti nelle scienze della vita. Oggi, un nuovo tema oggetto della bioetica è l’intelligenza artificiale

2.Uno dei temi classici della riflessione bioetica, cui abbiamo accennato subito, è quella del fine vita. È possibile, oggi, nel nostro ordinamento, parlare di un diritto a morire?

Direi di no. Esiste il diritto di rifiutare i trattamenti sanitari non voluti. Anche quelli di sostegno vitale, come una ventilazione meccanica o la nutrizione e idratazione artificiale. in questo caso, il medico non uccide il malato, che muore a seguito del procedere della malattia non più ostacolata da cure che ha il diritto – appunto – di rifiutare. A seguito di una sentenza della Corte costituzionale, inoltre, un malato grave, sofferente, capace e consapevole e tenuto in vita da un trattamento di sostegno vitale può essere aiutato nel togliersi la vita. Si tratta della non punibilità dell’assistenza al suicidio, sancita, in attesa di una legge del Parlamento, dalla Corte nel caso di DJ Fabo. L’eutanasia, cioè l’uccisione di un malato che chieda di essere ucciso, rimane ancora reato, ai sensi dell’art. 579 del codice penale.

  1. È evidente come il diritto, in un ambito delicatissimo come quello del fine vita, deve intervenire con estrema cautela e attenzione. La dimensione “biogiuridica” è continuamente alla ricerca di una mediazione e di un equilibrio tra interessi e posizioni differenti. Ecco, riguardo al fine vita, quali sono secondo Lei le prospettive che il legislatore dovrebbe seguire? Al momento, se dovesse valutare l’attenzione e la tempestività con cui il Parlamento interviene su questi temi, la sua valutazione sarebbe positiva o negativa?

Dipende. Negli anni ’70, abbiamo avuto leggi che hanno riconosciuto alle donne il diritto, a determinate condizione, alla interruzione volontaria di gravidanza che prima era considerata reato; altre leggi hanno istituito il Servizio Sanitario Nazionale che, nonostante le gravi lacune emerse con la pandemia da COVID-19, ha dato, in tempi ordinari, buoni risultati. Poi c’è stato molto silenzio, fino alla legge sulla procreazione medicalmente assistita (la legge n. 40 del 2004) che non poteva essere scritta peggio: una legge contraddittoria e miope, che ledeva la salute della donna senza garantire la posizione del concepito. Fortunatamente, diverse parti della legge sono state dichiarate incostituzionali dalla Corte costituzionale: ora servirebbe una nuova legge per dare organicità alla materia. Poi c’è stata la legge sul consenso informato e sul cd. testamento biologico. Una buona legge che finalmente ha garantito alcuni diritti ai malati e diversi ambiti di autonomia ai medici. Ora, però, siamo ancora in attesa di una legge che, dopo la pronuncia della Corte costituzionale sul caso di DJ Fabo, precisi la disciplina dell’aiuto al suicidio.

  1. Uno studente che volesse approfondire le tematiche affrontate dalla bioetica, a che risorse potrebbe ricorrere (siti, testi, canali di informazione, ecc.)?

Direi di partire dai siti di alcuni comitati nazionali e centri di bioetica (quello italiano: il CNB; il Nuffield Council on Bioethics; l’Hastings Center americano). Ci sono poi i centri universitari italiani e stranieri, oltre che i siti dedicati alla bioetica dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa. Se si sta attenti a non perdersi in siti inaffidabili, si trova molto materiale interessante in internet. E per chi fosse interessato agli incroci fra bioetica e diritto, consiglio di visitare il sito biodiritto di Giurisprudenza a Trento, con una rivista scientifica (il BioLaw Journal) tutto in open access.